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Il presupposto ‘scientifico’. Altri fattori determinanti

 

Quanto già  illustrato sulla vera e propria alternativa/contrapposizione tra ‘metodo’ e ‘rigore’ non è tuttavia sufficiente a delineare in modo univoco l’estrema differenza tra la concezione ‘classica’ e quella ‘moderna’ di scientificità; occorre infatti esplicitare –per quanto in modo estremamente succinto– ulteriori alternative/contrapposizioni costitutive di tale irriducibilità: [a] fondatezza vs. evidenza, [b] procedimento vs. ragionamento, [c] risultati vs. conclusioni, [d] complessità vs. semplicità, [e] funzione euristica vs. funzione ermeneutica.

– Innazitutto la Scienza moderna non si accontenta delle ‘evidenze’ neppure condivise, visto che era stato ‘evidente’ per millenni che fosse il sole a girare intorno alla terra, e così anche le stelle. Di fatto il c.d. canone di Vincenzo di Lerin: «quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est» se vale certamente per la Tradizione di fede della Chiesa, non vale altrettanto quale criterio di certezza gnoseologica (=episteme) per il ‘resto’ della realtà. Non di meno, contro l’evidenza quale fattore ‘esterno’ (=oggettivo ed indiscutibile) e pertanto elevabile a ‘criterio’ di giudizio extra-individuale, si era già scagliato decisamente Cartesio, facendone, al contrario, una caratteristica del –solo– pensiero personale. Non si trascuri neppure come, dalla Scolastica, l’evidenza fosse una caratteristica delle affermazioni come tali: una questione puramente proposizionale. È infatti l’affermazione nel proprio significato/contenuto –e non la realtà– ad essere “evidente”, riducendosi in tal modo a mera operazione intellettuale individuale (anche non condivisa).

– La Scienza moderna, invece, indirizza i propri sforzi verso la “fondatezza”; verso, cioè, il “supporto esterno” delle affermazioni/proposizioni: un ‘supporto’ concreto, immanente, sperimentale o esperienziale (la radice semantica è la stessa!), che comunque comporti un ‘accesso’ a cose o fenomeni, non a sole affermazioni. La fondatezza non deriva da teoriche e solo immaginarie/ipotetiche “tavole di verità” ma da concrete “tavole” di presenza-assenza-graduazione (cfr. F. Bacone) che “supportino” (=portino/reggano su di sé) le affermazioni/proposizioni che si ritengono ‘scientifiche’. L’evidenza nasce dal ragionamento, la fondatezza dall’esperienza.

– L’introduzione del metodo al posto del rigore pone in luce anche la preminenza assoluta nella Scienza moderna del “procedimento” rispetto al “ragionamento”. Si tratta dello ‘strumento’ o, se si preferisce, dell’‘itinerario’ attraverso cui si transita dall’introduzione di una ‘questione’ alla sua ‘soluzione’: il ‘flusso’ attraverso cui si passa dall’input all’output, dalla domanda alla risposta (direbbe Lonergan). Nella Scienza moderna –orientata alla res extensa (=ob jectum)– il primato gnoseologico è ‘operativo’: si comprende ed apprende ‘sul campo’ attraverso le “sensate esperienze” di galileiana memoria. “Esperienze” e non “pensieri”; “sensate” in quanto intenzionali, organiche, strutturate, pertinenti, coerenti… Un procedimento che è concreto, fattuale, operativo, che “fa cose”, “compie operazioni”; un procedimento che in sé e per sé (in quanto struttura operativa) è l’anima stessa della Scienza moderna, indipendentemente dall’oggetto preso in considerazione.

– Per contro, il ragionamento era –e rimane– qualcosa di completamente intellettuale, interno alla res cogitans stessa, certamente ‘capace’ di rapporto con la realtà ma non ad esso necessitato… capace anche di operare con concetti e fattispecie puramente fittizi o irreali (come l’araba fenice o l’ippogrifo), senza potenziali limiti –né tanto meno controlli– poiché tutto l’immaginabile può esserne/diventarne ‘oggetto’.

– La sostituzione del procedimento al ragionamento porta con sé anche la sostituzione delle “conclusioni” da parte dei “risultati”: un altro passo avanti che costituisce una cesura tranciante tra scienza ‘classica’ e Scienza moderna. Ciò che i diversi procedimenti mettono a disposizione del ricercatore/studioso sono dei risultati: nuove ‘predicazioni funzionali’ che –per quanto anche assolutamente parziali– ampliano la caratterizzazione dei diversi oggetti di studio/ricerca. Predicazioni il cui contenuto è supportato/fondato da elementi ‘esterni’ a ciascun singolo soggetto; elementi ‘esterni’ ed in qualche modo “pubblici”: accessibili (potenzialmente) a chiunque e da chiunque ‘verificabili’ nella loro fondatezza e tenuta.

– La ‘natura’ della “conclusione”, soprattutto sillogistica, era ben differente: date determinate “premesse”, assiomatiche o derivate, dalla loro concatenazione secondo predeterminati ‘modelli inferenziali’ (analogia, allegoria, similitudine, deduzione, abduzione, ecc.) si giungeva alla ‘chiusura’ (=conclusione) del ragionamento attraverso una proposizione con pretesa di veritatività che estingueva in qualche modo l’istanza problematica originaria. Una conclusione, però, che poiché nella maggior parte dei casi risultava “evidente” –e quindi non ulteriormente problematica– per chi la poneva risultava spesso, invece, incomprensibile o inaccettabile a chi disponesse di altro genere di ‘evidenze’.

– Conseguenza quasi immediata, ed inevitabile, della sostituzione del procedimento al ragionamento è il subentro della “complessità” alla “semplicità”. Di fatto il ‘mondo’ della conoscenza classica era ‘popolato’ da una ridottissima quantità di elementi. Per quanto, infatti, ogni pensabile potesse esistere (ed esistesse pure!) o per quanto ogni ‘razionale’ fosse ‘reale’, il ‘numero’ di res che potevano concretamente popolare la mente umana (in balia delle deduzione) prima della Rivoluzione fisico-nucleare era comunque estremamente limitato rispetto a quanto popola oggi la conoscenza scientifica. Il mondo ‘classico’, in fondo, ed il modo di ragionare-conoscere al suo interno era un mondo ‘chiuso’, un vero e proprio “sistema” più o meno perfettamente costruito “su” (o “a partire da”) assiomi e principi, perfettamente delineati (e ‘conosciuti’): vere e proprie Geometrie, più o meno estese. E proprio in quanto/come Geometrie era caratterizzato da veri ‘trascendentali’ (=condizioni di possibilità a priori) quali –in primis– il principio di non contraddizione ed il terzo escluso: veri escamotages intellettuali (in realtà “restrizioni mentali”) che permettevano di muoversi con tranquillità all’interno di un mondo che doveva essere il più ‘sicuro’ possibile. Sicuro, non certo! Sicuro poiché definibile, definito e privo di ‘incognite’, di ‘dubbi’ o di ‘salti’.

– La Rivoluzione fisico-nucleare, da parte sua, ha infranto queste presupposizioni, dovendosi rendere conto che “in realtà” (quella vera, concreta, fattuale… non quella idealistica!) il mondo “là fuori” (=la res extensa) non funziona affatto secondo tali ‘principii’. “Relatività”, “indeterminazione”, “incompletezza”, “quantistica”, contraddicono in tutto l’approccio ‘classico’ (meglio: intellettualistico, a-empirico). La relatività, infatti, supera d’impeto la non-contraddizione poiché massa ed energia sono reciprocamente ‘convertibili’ e la stessa “luce” è contemporaneamente sia onda che corpuscolo. L’indeterminazione vanifica il terzo escluso poiché non esiste necessità (‘ontica’ = un dover essere) che costringa una particella ad essere/stare in un determinato/bile ‘luogo’. L’incompletezza spezza qualunque sistema/ordo poiché non tutte le proposizioni valide all’interno di un ‘sistema’ sono completamente giustificabili all’interno del sistema stesso… La strutura quantica della materia smentisce in natura ipsa l’assenza di “salti”.

– Quinta alternativa/contrapposizione complementare rispetto a “metodo vs. rigore” è quella tra “funzione euristica” propria della Scienza moderna e “funzione ermeneutica” propria di quella ‘classica’; funzioni che potrebbero anche essere indicate come ‘proiettiva-predittiva’ (=utilitaristica) e ‘causale-esplicativa’ (=ontologica). L’evidente intenzione galileiana di non “tentare le essenze” ma di descrivere il funzionamento della realtà ha capovolto il ‘verso’ dell’itinerario gnoseologico-scientifico moderno indirizzandolo dal presente al futuro così da poter in qualche modo interagire con la realtà servendosi delle sue stesse potenzialità (=le c.d. leggi di natura) per conseguirne benefici al momento indisponibili (si veda, in merito, la Tecnologia). Chiave di volta di questo procedere è l’individuazione delle ‘regole’ di funzionamento delle diverse res extensæ via via oggetto d’indagine, ricerca e conoscenza. “Regole” che sono ben diverse dalle “cause”; “regole” che indicano il “come” conseguire un determinato obiettivo in base alle condizioni funzionali necessarie e sufficienti affinché ad “A” segua –quasi– certamente “B”. Le “regole”, fondate sui risultati del procedimento, permettono così di ‘costruire’ res future sino ad allora inimmaginabili.

– Al contrario lo “scire per causas” non permetteva che di scendere dal presente al passato della realtà (=funzione esplicativa/ermeneutica) in quelle che, ad ogni effetto, non potevano che presentarsi come autentiche ‘genealogie’ retrospettive da ciascun ens alla sua archè, da ciascun singulum al suo universale, senza tuttavia esser mai in grado di nulla ‘dire’ –di realmente significativo– non solo sul futuro di tale ens/singulum ma neppure sul suo presente, poiché la maggior parte delle infinite eventuali ‘potenzialità’ intrinseche alla sua ‘essenza’ –non essendo necessitate– non avrebbero alcuna garanzia di realizzarsi.

 

 

 

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Il presupposto scientifico moderno: differenza tra metodo e rigore

Il presupposto scientifico moderno: differenza tra “metodo” e “rigore”

Il cuore della Scienza moderna consiste, in ultimissima istanza, nell’introduzione del “metodo” al posto del semplice “rigore”: una vera rivoluzione ‘copernicana’ che passa da una caratteristica (qual è il rigore) ad una struttura (qual è il metodo)… anche in campo umanistico!

Questo proviene da (o forse, semplicemente, manifesta) una visione assolutamente unitaria della realtà nei confronti della quale non si può assumere nessuna ‘posizione’ (=obiectum formale quo) quasi che si potesse ‘uscire’ dalla realtà stessa per ‘guardarla’ dall’esterno e da più punti di vista… La realtà è una sola e ciascuno di noi le appartiene: non si può uscire dalla realtà –per ‘osservarla’– poiché questo significherebbe uscire dall’esistenza stessa. È, invece, stando consapevolmente nella realtà che la si può conoscere: facendone esperienza.

Ciò, però, non è altro che dal “Principio d’indeterminazione” di Heisenberg, secondo cui l’osservatore appartiene sempre al ‘sistema’ osservato e non può che averne una percezione ‘relativa’ (alla sua stessa presenza) non potendosi calcolare al contempo “posizione” e “quantità di moto” di una particella sub-atomica. Detto in altri termini: non è (più) utilizzabile il ‘concetto’ di “obiectum formale quo”! Né la considerazione o l’approccio o l’analisi di qualcosa “sub specie…”. La Scienza moderna è ‘tale’ solo per “oggetti materiali” (=obiectum formale quod): chiari, specifici, definiti… per quanto non necessariamente ‘corporei’, come accade per i “flussi”, i “campi”, ma anche per la Storia o il Diritto.

L’ambito umanistico, dal canto proprio, si era sempre difeso arroccandosi dietro al “rigore” del ragionamento e dell’argomentazione, fino al tentativo –assolutamente espressivo della mentalità dominante– dello stesso Husserl nel 1910 di verificare –ed eventualmente dimostrare– la solidità della stessa Filosofia proprio quale “Scienza rigorosa”, espressione il cui accento non lascia dubbi… non meno che il suo tragico esito.

 

– Il rigore

La conoscenza/scienza classica si basava sul “rigore” con cui venivano concatenate tra loro affermazioni anche –di per sé– assolutamente irrelate; in fondo bastava essere ‘rigorosi’ nel proprio “procedere da/per principi” (come anche riteneva S. Tommaso)! “Essere rigorosi” che significava di fatto applicare in modo ineccepibile gli schemi inferenziali standardizzati: i 19 sillogismi ‘validi’ reduci dai 256 teorici, tutti poi ‘trasformabili’ nell’unico sillogismo ‘universale’ (“barbara”) che resse per secoli dal Medio Evo in poi la c.d. Logica minor contro cui s’indirizzò implacabile la contestazione dei novatores. I quali, però, vinsero! Così come la stessa Logica minor fu ben presto estromessa dal mondo delle Scienze moderne, preferendosi ben altri approcci alla realtà.

Alcune osservazioni generali in merito.

a) Per l’approccio gnoseologico basato sul rigore è decisiva l’idea di concatenamento o “catena inferenziale”: se e dove esiste ‘connessione’ si può proseguire, da idea a idea, da affermazione ad affermazione, da principio a principio. Da anello ad anello… non importa di che tipo di anello si tratti. Basta così un solo anello più debole degli altri (di lana anziché di ferro) per vanificare l’intera attività cognitiva …semper salva principia!

b) Il risultato ed il valore della conoscenza evidenziata in tal modo è funzione del (solo) rigore ‘interno’ ai singoli sillogismi; non si percepisce affatto che ogni successivo sillogismo funziona come una vera e propria “diluizione” della pregnanza ontologica e gnoseologica precedente… fino allo svuotamento assoluto degli ultimi ‘esiti’ della catena inferenziale stessa a causa dei continui ‘rimbalzi’ dei “predicati” da un soggetto all’altro e/o dello scambio tra i soggetti specificati dagli stessi predicati.

c) Allo stesso tempo: base pressoché ineliminabile del procedere attraverso il concatenamento sillogistico è l’analogia, attraverso la quale il contenuto della “predicazione” cognitiva viene via via mutato in base all’identità del soggetto di cui si effettua la predicazione. I diversi tipi di analogia, non di meno, complicano ulteriormente la portata delle predicazioni realizzate.

d) Quali siano i ‘punti’ di partenza (=gli oggetti materiali) della ricerca e quali i ‘loro’ elementi da esaminare risulta spesso del tutto arbitrario: i “Commenti alle Sentenze” e le “Questioni disputate” su cui si reggeva la Scolastica sono un chiaro esempio dell’inconsistenza di ciò che attiva e regge la riflessione: si commenta ciò che si è deciso di commentare, si disputa di ciò che interessa… vero o falso, reale o no, episteme o doxa, non fa alcuna differenza.

e) Il rigore del procedere sillogistico è puramente ‘interno’ al procedimento inferenziale adottato, senza che la realtà possa dire nulla in merito; si giunge così all’adozione (anche) di sillogismi ‘validi’ solo ‘formalmente’ ma contrari alla realtà! Quali, poi, siano gli elementi ormai ‘certi’ da assumere per le successive inferenze rigorose che permettano di proseguire la ricerca rimane del tutto indeterminabile ed arbitrario data l’assenza di ‘regole’ per individuare l’adeguatezza delle ‘premesse’ attraverso cui costruire l’inferenza successiva.

f) La maggior attenzione al rigore del procedere che non alla ‘realtà’ e verità degli elementi coinvolti nella ricerca porta(va) ad una conoscenza/scienza soltanto intellettualistica, disincarnata ed irreale, senz’alcuna connessione col vissuto delle persone.

Tanto basti a porre in guardia da un semplicistico “rigore” come ‘fondativo’ della conoscenza e della ‘scienza’.

La questione e l’inattendibilità ‘globale’ di questo genere di approccio alla conoscenza erano già state evidenziate da F. Bacone (1561-1626) quattro secoli fa: il problema –infatti– non è ‘come’ inferire (=il rigore) ma ‘da che cosa’ e ‘perché’ farlo. Il problema, cioè, non riguarda le ‘regole’ interne a ciascun procedimento cognitivo –il suo “rigore”!– ma il rapporto della conoscenza con la realtà… per questo oggi le Logiche modali (si noti il plurale) sono affiancate dalle Logiche non-modali ed è chiaro a molti settori della Scienza –non ‘ecclesiastica’– che i rapporti ‘ontici’ non esauriscono affatto le relazioni tra le diverse ‘componenti’ della realtà.

 

– Il metodo

Al rigore inferenziale (anche solo puramente formale) tipico di un procedere intellettualistico e disincarnato che finisce per trattare –senz’allontanarsi mai dal tavolino– tutta la realtà in modo assolutamente ‘meccanico’ sotto la pressione e ‘logica’ unica della necessità ontica (la ‘bacchetta magica’ del “dover essere”), la Scienza moderna ha sostituito il metodo come concatenamento strutturato di operazioni strutturate ripetitive che partono dall’esperienza per offrire conoscenze verificabili, da essa derivabili ma in essa non contenute.

In tal modo: se pure il metodo per ‘funzionare’ esige rigore applicativo, com’è fuor di dubbio, non è tuttavia il rigore a fornire le caratteristiche costitutive del metodo stesso il quale consiste, sostanzialmente, in un

a) concatenamento strutturato,

b) di operazioni ripetitive,

c) che partono dall’esperienza,

d) per offrire conoscenze verificabili,

e) da essa derivabili ma in essa non immediatamente contenute.

Ne deriva così la piena possibilità di sventare il falso dilemma iniziale tra “metodo scientifico” e “metodo umanistico” riconoscendo l’inadeguatezza della contrapposizione tra “scientifico” ed “umanistico” poiché, mentre la scientificità riguarda il metodo in sé e per sé… e non esiste metodo se non scientifico, il riferimento umanistico riguarda invece gli ‘oggetti materiali’ dell’indagine scientifica da attuarsi attraverso il metodo; oggetti materiali che possono appartenere indifferentemente sia all’ambito umanistico che a quello naturalistico senza che il “metodo” come tale ne subisca alcuna conseguenza a livello gnoseologico.

 

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Fenomenologia o Scienza?

Di fatto Kant con la sua “fenomenologia” –in concreta sostituzione della Scienza (=episteme)– ha inferto all’Epistemologia, oltre che alla Gnoseologia un colpo terribile, intralciandone lo sviluppo per almeno due secoli.

Se, infatti, sono conoscibili, e pertanto studiabili, solo i “fenomeni” (=ciò che appare) e non  i “noumeni” (=ciò che davvero è) allora ciò che si realizza nella ricerca/studio è soltanto –ma anche giustamente– una “fenomeno-logia” (=discorso intorno al fenomeno). Questo però sposta il centro di attenzione della ricerca/studio dalla realtà e quanto di essa si può dire con certezza (=episteme, Scientia) alle sue sole ‘manifestazioni’ esterne e quindi parzialissime, spingendo poi l’attenzione unicamente a quanto effettivamente ‘gestibile’ alla conoscenza umana e cioè le sue sole “rappresentazioni”, ben diverse –però– dalle attuali Teorie scientifiche.

Il pensiero fenomenologico anziché epistemologico kantiano culminò nella prospettiva diltheyana che, se in realtà nulla o quasi potè contro le Scienze ‘dure’ (Naturwissenschaften), risultò assolutamente distruttiva verso quelle antropologico-umanistiche (Geisteswissenschafte) le quali, anziché l’uomo, avrebbero dovuto studiare il suo ‘spirito’.

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referaggio scientifico o CENSURA antiscientifica?

Mi sto dovendo interessare di questioni connesse al “referaggio” delle Riviste scientifiche e la questione mi preoccupa parecchio poiché i reali presupposti di tutto questo marchingegno sono assolutamente CONTRARI a quanto ha fatto NASCERE e PROSPERARE la Scienza moderna.

Se Galileo avesso dovuto ottenere una “peer review” prima di pubblicare le proprie opere saremmo ancora fermi là. E dopo di lui tutti gli altri ‘novatores‘ allo stesso modo!

Non di meno questo sottrae la ricerca scientifica alla dinamica salutare di una reale ‘falsificazione’ alla quale i ricercatori si possano esporre liberamente, oltre che in modo ragionevolmente fondato (visto che si tratta della loro stessa persona e credibilità!).

Il referaggio, invece, sta ormai costruendo una sorta di CENSURA-PREVIA che impedisce la libera circolazione delle ipotesi di ricerca: quanto infatti non risulta ‘ammissibile’ ai “pari” che stilano il documento di ‘referenza’ –ammettendo o meno lo scritto alla pubblicazione– rimane fuori dal circuito ‘scientifico’… demandando a solo due collaboratori ‘esterni’ alla Rivista il giudizio che, seguendo T.S. Kuhn, dovrebbe invece competere all’intera comunità scientifica, unica ‘depositaria’ del “paradigma” ed attrice dei suo cambio.

La questione, in realtà, è molto più seria poiché concentra in sé e ridistribuisce ad onere collettivo ed indifferenziato UNA SOLA PROBLEMATICA che riguarda SOLO POCHE DECINE di ricercatori: quelli in corsa/attesa di un posto di lavoro presso un’Istituzione accademica o, al suo interno, a qualche finanziamento pubblico. In tal modo, però, per evitare i ‘baroni’ si alzano le mura intorno ad una cittadella fortificata che difende una ‘casta’ vera e propria. Come molti Ordini professionali: è la stessa dinamica… Entra solo chi viene ammesso da chi è già dentro!

Ma col referaggio la non-selezione avviene già prima: al momento della NON-creazione dei presupposti per concorrere liberamente. Certo: in questo modo le Commissioni esaminatrici devono solo contare quante citazioni uno ha ottenuto (non importa se a titolo positivo o negativo) ed il lavoro sporco lo fanno gli altri: i “pari” che come i capponi(!) di manzoniana memoria non trovano di meglio da fare che beccarsi a vicenda lungo la strada verso la stessa padella.

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La questione si sta complicando ulteriormente poiché il Coordinamento delle “University Press Italiane” sta mettendo a punto una sorta di “marchio formale di scientificità” col quale ‘NON-bollare‘ ciò che non merita di essere riconosciuto ‘scientifico’: Monografie e Riviste.
Un bel ‘lavoretto’ che ridurrà a poche decine all’anno le opere che potranno essere prese in considerazione ai fini della carriera universitaria di qualcUNO (et similia et connexa)… TUTTO il resto NON VARRA’ NULLA! Poiché non ammesso ai computi bibliometrici nazionali ed internazionali… tanto varrà: prima non leggerlo neppure e poi non stamparlo neanche… Le “Universities Press“!!!

Se, poi, si considera l’intera questione in relazione alle Scienze umanistiche il ‘prodigio’ offre il meglio di sé!!!
– Chi/come valuta la ‘scientificità’ degli scritti filosofici?
– Chi pubblica in inglese uno studio su di una Legge regionale italiana?

Non per nulla varie ‘aree’ della ricerca italiana sono in subbuglio contro questo genere di attività completamente decontestualizzate rispetto alla vera natura della Scienza moderna.

Si veda in merito:

– “VERSO LA CATASTROFE? I CONTROVERSI CRITERI VALUTATIVI DELLE OPERE SCIENTIFICHE” (E. Vitali)

–  Cahiers de doléances: l’archeologia e le riviste in fascia A

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Scienza, Filosofia e laboratori

Tra gli elementi che continuano a distinguere e differenziare strutturalmente la Scienza (moderna) dalla Filosofia (di ogni tempo) si collocano senza dubbio anche i ‘laboratori‘: la Scienza moderna non solo si fa ‘con le mani‘ si fa anche ‘in laboratorio‘!

Mentre per ‘filosofare’ non ci sono ambienti strutturalmente ‘privilegiati’, poiché ciascuno interroga se stesso dove e quando meglio lo aggrada (chi in montagna, chi in spiaggia, chi sul divano… ecc.), per ‘fare ricerca scientifica’ sono necessari i ‘laboratori’ (chimici, fisici, biologici…) poiché la realtà che si va ad interrogare circa le proprie ‘caratteristiche’ (funzionali) ha la necessità di essere in qualche modo ‘gestita’ e -soprattutto- monitorata e misurata.
Ciò vale anche per le Scienze e Discipline ‘umanistiche‘. Esse pure hanno i propri ‘laboratori’: le Biblioteche e gli Archivi (senza trascurare gli ‘scavi’ ed altro che sia in grado di offrire ‘fonti’ alla ricerca).

D’altra parte: chi ‘filosofa’ e chi studia un filosofo compie due attività radicalmente diverse.
Chi studia un filosofo (ma qualsiasi ‘autore’) compie una “attività di laboratorio“, poiché sottolinea, scheda, collega, interroga, relaziona, cercaverifica…  non meno e non diversamente da un biologo o da un chimico.
E fa ciò seguendo ed applicando esattamente le stesse ‘regole’ e gli stessi criteri e principi: le “tabulae baconiane” (praesentiae, absentiae, graduum).
Una volta terminata la compilazione delle Tabulae (creazione dei ‘dati’ secondo l’ipotesi di ricerca) si procede al “cross experiment“: la prova dell’incrocio dei ‘dati’ così individuati per ‘vedere’ cosa ne emerge… aiutando l’induzione a ‘sospettare’ e scoprire relazioni, connessioni, dipendenze, causalità e a configurarne e disegnarne la ‘rete’ (J.S.Mill).
Esattamente in ciò sta e si realizza la Scienza moderna, anche non-naturalistica.

 

 

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Fonti, Scienza e Filosofia

Le ‘fonti‘ hanno una funzione epistemologica fondamentale nel distinguere strutturalmente tra Filosofia e Scienza:
le ‘fonti’, infatti, costituiscono quell’elemento di irrinunciabile ‘oggettualità’ da cui la Scienza non può mai prescindere per rimanere “ricerca intorno a” e non mero “discorso su”.

Se chi pensa e ragiona non ha ‘nulla’ di ‘fisico/fattuale’ (=un “quid“, una “res“) innanzi a sé, ben presto finirà per intrattenersi con se stesso e, nel migliore dei casi, trovarsi a ‘dialogare’ con se stesso, nel miglior stile platonico…

Non sarebbe, però, Scienza!

 

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Fonti e Scienze umanistiche

A pag. 126 del libro avevo scritto: «proprio questa referenza pressoché assoluta delle ‘fonti’ costituisce l’elemento di frattura strutturale tra la Scienza moderna e la conoscenza classica in ambito umanistico» ciò, tuttavia, non basta.

Il rapporto con le ‘fonti’, infatti, fa saltare completamente anche la pseudo-epistemologia idealistica tardo-moderna di Dilthey.
Se, infatti, le Scienze non “della-natura” ma “dello-spirito”, quelle cioè umanistiche o antropologiche, devono basarsi sulle concrete ‘fonti’ antropologico-umanistiche (documentali, archeologiche, storiografiche, statistiche, etnografiche, antropologiche, culturali, ecc.) allora diventa chiaro che lo “spirito” NON c’entra proprio nulla e che le Scienze umanistiche ed antropologiche si interessano dell’UOMO e del suo VIVERE e non di quella sua ‘parte’ -pur nobile- che sarebbe il suo “spirito” (idealisticamente compreso).
Né si pensi di poter aggirare l’ostacolo del rapporto con le ‘fonti’ dicendo che, in fondo, è stato lo ‘spirito’ umano a ‘creare’ quelle cose (documenti, città, strade, opere d’arte, poesie, ecc.) …a ‘prodursi/manifestarsi’ in esse.

Fu, infatti, la VITA UMANA a crearle e spesso per PURA, MERA, DURA, INEVITABILISSIMA ed INELUDIBILISSIMA NECESSITA’ di sopravvivenza… a volte anche al proprio stesso ‘pensiero’ di sé e della realtà.

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Realismo critico?

Partecipendo (oggi) ad un Seminario su B. Lonergan e J. Maritain ho fatto la (triste) scoperta che ANCORA una volta la terminologia epistemologica non è univoca. Si tratta, nel caso di specie, della nozione di “realismo critico” usata in modo ‘chiaro’ in Epistemologia scientifica (cfr. Putnam)… ma che, in realtà, non riesce ad essere conclusiva se non la si circostanzia maggiormente di quanto si faccia di solito.

L’opera di J. Maritain spazia nei più diversi campi del sapere filosofico, avendo dato contributi determinanti alla ricerca epistemologica, metafisica, ontologica, teologica, morale, estetica, politica, pedagogica, in una coerente prospettiva generale che egli chiamò “realismo critico”. [cfr. http://www.istituticulturali.it/genera.jsp?id=629%5D

Per l’Epistemologia scientifica, invece:
«Le testimonianze del progresso conseguito in passato indicano che l’universo ha una struttura (in gran parte) indipendente dalla teorizzazione umana e che le nostre teorie hanno fornito una rappresentazione sempre più precisa di questa struttura. Nel 1978 Hilary Putnam sostenne che se non si adottasse un’interpretazione realista, il crescente successo predittivo raggiunto nella storia della Scienza sembrerebbe un “miracolo”. Putnam osservò che il realismo in questione formula affermazioni sia sulla verità sia sull’esistenza. Entro un certo dominio scientifico, il crescente successo predittivo riflette un’approssimazione sempre più adeguata alla verità. E proprio perché sequenze di teorie di successo formulano affermazioni diverse riguardo a specifici oggetti teorici (per esempio “elettroni”, “campi gravitazionali, “geni”), tali oggetti devono esistere. […] La tesi della “convergenza verso la verità” può apparire poco convincente. Comunque vi sono altri modi per sostenere il realismo. In particolare, si potrebbe affermare che le entità postulate da certe teorie scientifiche esistono effettivamente. Vi sono molti argomenti convincenti a favore del “realismo sulle entità” in contrapposizione al “realismo sulla verità”». J. LOSEE, Filosofia della Scienza. Un’introduzione, Milano, 2001, 238-239.

Ritorna così a complicarsi la questione dei “realismi”…

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verità anguille e cetrioli

La condanna degli “averroisti” dell’Università di Parigi del 1277 (poco dopo la morte di S. Tommaso, parzialmente coinvolto in quei fatti) aveva di mira la (loro) ‘tesi’ che potesse esistere ‘una’ VERITA’ di Filosofia-naturale diversa da quella della Rivelazione cristiana*… in un mondo meta-(o para?)fisico era effettivamente un bel problema!

In realtà, però, non troppo diverso dall’andare al mercato rionale ed aver da una parte il banchetto dell’Azienda agricola “Filosofia naturale” che espone una cassetta di cetrioli ‘tipo’ “verità” (come le mele “golden” invece delle “renette”) e sul lato opposto della corsia il banchetto della Pescheria “Rivelazione” che espone un  vassoio di anguille ‘tipo’ “verità” (“europea” invece di “rostrata/americana”)…
un vero guaio se la mamma ci ha mandato al mercato a prenderle due Kili di “verità”!!!

Per fortuna che ‘zio’ Galileo ha -POI- capito [e provato ad insegnare] che anguille e cetrioli sono COSE/REALTA’ diverse… indipendentemente da come li si chiami!

ERGO: cosa ne facciamo della Metafisica scolastica che NON aveva certo capito questo genere di ‘cose’?

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*«La condanna del 1277 era diretta espressamente contro gli averroisti […].
Il principio fondamentale di questi averroismi dal punto di vista epistemologico è indicato nel prologo: “Essi affermano che queste proposizioni sono vere per la Filosofia, ma non per la fede cattolica, come se si trattasse di due verità contraddittorie e se, contrariamente alla verità espressa nella Sacra Scrittura, vi fosse del vero nei […] gentili”» ( J.A. WEISHEIPL, Tommaso d’Aquino. Vita, pensiero, opere, Milano, 1988, 338)

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Dimissioni di scienziato …e un filosofo?

Si è letto in questi giorni (30-03-2012) su molti media delle dimissioni del fisico Antonio Ereditato (suo l’errore sui neutrini più veloci della luce), coordinatore della collaborazione “Opera” i cui dati nel settembre scorso indicavano i neutrini come piu’ veloci della luce. Lo si apprende dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

Dal punto di vista epistemologico la cosa è interessante: nelle Scienze chi sbaglia si fa da parte… A quando un ‘filosofo’ che sappia fare lo stesso?

Le Scienze sanno verificarsi e correggersi… perché la “dura res” (quella extensa) rimane là fuori: ob-jectum, ad ‘attendere’ un altro ‘contatto’, più corretto e quindi significativo. Le macchine possono sbagliare(!) ma le verifiche successive ne mostrano le disfunzioni… ci si corregge e si riparte.

Il vero problema non è l’errore, ma la sua non-correzione
Non di meno: finché si fa tutto da soli, pensando nella propria testa ed ‘imponendo’ al mondo il proprio punto di vista… non è possibile ‘verifica’ alcuna… ma -quindi- neppure verità, poiché l’eventuale non-corrispondenza tra proprio pensiero e realtà non può essere smascherata.

La Scienza (moderna) verifica se stessa… la Filosofia no…

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